Un balbale è un tipo di composizione poetica in rima, spesso di lode, accompagnata da musica di sottofondo, tipica della tradizione sumera. Venivano cantate nelle cerimonie dedicate agli dei e nei festival regionali. Quello qui riportato è dedicato a Ningishzida, divinità considerata tra le ‘minori’ nel pantheon sumero (ingiustamente, ad avviso del traduttore da cui peschiamo la versione italiana riportata in calce). A meno che non si siano letti testi specifici o si sia addentri alla materia infatti, è raro che chi si interessa alla mitologia sumera e babilonese abbia conosciuto questa divinità. Eppure risulterà evidente fin dai primi versi del testo che Ningishzida era un dio potentissimo, che doveva essere tenuto in grande considerazione dagli altri dei.
Le poche informazioni riguardanti questo dio, giunteci da Kramer, Jacobsen, Bell e indirettamente da Halloran (che sostanzialmente appoggia la posizione di Jacobsen) sono estremamente caotiche. Se più o meno tutti concordano nel ritenere Ningishzida un dio ‘della fertilità’, la motivazione di questa attribuzione, a mio avviso completamente errata, è diversa per ognuno di loro in quanto legata alle leggermente diverse traduzioni fatte del nome del dio.
Tutti infatti traslitterano in NIN.GISH.ZID.DA, ma mentre Bell traduce con ‘Signore che fa crescere gli alberi in modo corretto’, Halloran e Jacobsen traducono con ‘Signore del giusto albero / fedele attrezzo’. Jacobsen addirittura nota un presunto gioco di scambio di significati del GISH da ‘albero’ a ‘pene’ per rafforzare l’idea di dio della fertilità, ma ‘pene’ è GISH2 non GISH; inoltre siccome da vari miti Ningishzida è associato al ‘mondo di sotto’ (Abzu – erroneamente descritto come il regno dei morti o degli inferi), e il suo stemma son due serpenti intrecciati, il solito Jacobsen si spinge fino a supporre che “i serpenti sono le radici dell’ albero che compare nel nome del dio e che affondano sotto terra fino al mondo di sotto” (qui non sarebbe male lanciarsi in un approfondimento circa eventuali analogie con le leggende dei rettiliani, alle quali chi scrive non attribuisce molta credibilità, e a quelle di civiltà progredite che potrebbero aver trovato rifugio nelle cavità sotterranee) .
Personalmente, pur con la mia poca esperienza in merito, non mi vergogno assolutamente di affermare che Jacobsen sostenga una ipotesi assurda. Intanto perché il concetto di Abzu come mondo dei morti è di per sé fallace, inoltre perché niente, nei miti riguardanti Ningishzida, lo descrive come dio di fertilità. Un caso a parte, non esplicitamete riferito al nome di questo dio, ma a tre glifi presenti nel suo nome, é rappresentato da David Foxvog il quale traduce GISH.ZI(D).DA come 'muro laterale'. Di fatto invece, come abbiamo visto nelle iscrizioni di Gudea, il nome va traslitterato NIN.GISH.ZI.DA, dove ZI significa ‘respiro della vita’ o semplicemente ‘vita’, e DA può assumere il significato del verbo ‘tenere – detenere’. Il nome dunque sarebbe “signore che detiene l’ albero / il manufatto della vita”. Si noti anche che il glifo di GISH è lo stesso di IZ(I) che significa ‘fuoco’ quindi potremmo avere un “Signore che detiene il fuoco della vita”.
Questo tradotto è il più lungo e più bel balbale a lui dedicato (ne sono catalogati ben quattro), secondo come testimonianza soltanto al mito noto come ‘Il viaggio di Ningishzida nel mondo di sotto’. Gustatevi questo inno dunque, in modo da conoscere meglio una delle divinità più ingiustamente trattate della letteratura mesopotamica.
Eroe, signore delle praterie, leone delle montagne lontane,
Ningishzida, accompagnato da grandi serpenti e draghi (*1),
grande toro, in battaglia sei un diluvio che (…),
la cui madre Ningirida ha fatto nascere dal suo corpo attraente,
allattato dal seno splendente, nutrito col veleno dei leoni,
cresciuto nell’ Abzu, magnifico mago che tiene la Eshda
che consulta le tavole e assicura la giustizia!
Signore, grande toro dalla giusta parola che odia il malvagio,
grande diluvio che nessuno osa ostacolare,
Ningishzida, nessuno osa ostacolarti quando semini confusione!
Le genti sono al tuo fianco,
pastore che sa come dirigere il popolo dalla testa nera (i sumeri),
la pecora e l’ agnello vengono a cercarti, (*2)
e tu sai come usare il tuo scettro con la capra e il vitello! (*2)
Ningishzida, sai come usare lo scettro da qui al futuro!
Il benevolo signore ti ha rivolto parole di fiducia dal momento nella
nascita,
ha fatto sì che tu fossi creato,
principe dotato di avvenenza, Ningishzida,
seduto sul tuo trono rialzato, signore, dio, proteggi la vita, (*3)
vestito in regali abiti, con il tuo scettro di lapis lazuli,
a te uno shir-shub viene cantato
(…)
Scavi nel cuore di coloro che mentono,
ti getti su coloro che (…) e li bruci come un fuoco!
Il sapiente signore ha deciso per te un buon destino sul tuo trono,
il dio della giustizia ha pronunciato per te queste parole:
“Primissimo, signore dell’ assemblea in regali abiti,
signore che incuti paura nelle genti, luce della gente,
chi in cielo può eguagliarti?”
Eroe, dopo aver assistito alla battaglia si innalza nelle montagne,
Ningishzida, dopo la battaglia ti innalzi nelle montagne!
Signore che promuovi e porti il comando sulle terre,(*4)
I giovani che ti hanno come dio personale ti seguono (?)
Signore, miele degli dei, sia lode a Enki!
Ningishzida, figlio di Ninazu, (*5)
sia lode a Padre Enki!
Un balbale per Ningishzida.
(*1) il verso contiene alla fine, secondo la restaurazione da altre copie, il TA-DA, che significa ‘to be parallel – to be equal’ quindi il significato potrebbe essere ‘che ti accompagni a serpenti e draghi’ ma anche ‘che sei come serpenti e draghi’ (e di nuovo qualcuno potrebbe citare le leggende sui rettiliani).
(*2) ‘pecora e agnello’ e ‘capra e vitello’, sono metafore utilizzate per dire che sia gli adulti che i giovani cercano il consiglio del dio e che la sua influenza (lo scettro) si estende su entrambi.
(*3) la parte finale ZID-DA viene normalmente tradotta come ‘braccio destro’, nel senso di ‘collaboratore’. Reputo sia errato in quanto abbiamo già visto la possibilità che in realtà si tratti di ZI-DA, ‘portare / mantenere la vita’. Per di più non viene presentata una figura di cui il dio possa essere il ‘braccio destro’, il chè rende a mio avviso la traduzione ancora più fallace.
(*4) Sull’ETCSL il verso è tradotto come ‘tu che comandi il mondo di sotto (gli inferi)’ ma nel verso non compare nessuno dei termini convenzionali né di quelli eufemistici che i sumeri utilizzavano per tale regno. Ho dunque voluto tradurre letteralmente i termini presenti nel verso.
(*5) Ninazu, che dai sumerologi e gli studiosi di mitologia viene ritenuta una divinità a se, è secondo me (si veda in appendice) un identificativo di Enki. Questa convinzione mi viene in questo mito rafforzata proprio dal fatto che il nome compare nei versi finali di lode a Enki.
Nessun commento:
Posta un commento